Gianluca Racchi è il benemerito con il quale oggi abbiamo fatto una piacevole chiacchierata, sulla sua vita tecnica ed associativa iniziata nella grande Milano e proseguita nella nostra Ancona.
Come prima cosa volevamo sapere come ti sei avvicinato all’arbitraggio?
Sono di Milano e andando a S. Siro, come tifoso di calcio, fecero l’annuncio per il corso arbitri. Devo ammettere che l’idea di ricevere la tessera per entrare gratis allo stadio era per me una grande attrazione. Decisi così di frequentare il corso organizzato dalla Sezione di Milano ed ho arbitrato la mia prima partita nella primavera del 1973.
A casa ho ancora l’articolo del Corriere della Sera che riporta la notizia, il mio corso era molto numeroso, più di 100 persone.
All’inizio del 2’ anno degli scambi (la CAI di allora ndr) non ho superato la visita medica per l’idoneità agonistica.
Avevo un Disturbo cardiologico passeggero, ma i medici non vollero sentire ragioni e non mi diedero l’idoneità. Vinsi il ricorso, ma ormai era passata tutta la stagione e ho fatto domanda per diventare OA dopo appena 10 anni di tessera.
Dal 1985 al maggio 2007 ho visionato 457 arbitri, di cui 322 in ambito nazionale, 996 se contiamo gli assistenti.
Hai iniziato a Milano, quando poi ti sei dovuto trasferire ad Ancona sei rimasto nell’AIA.
Non ho mai pensato di lasciare, perché l’ho vista come un’Associazione alla quale avrei potuto partecipare indipendentemente dalla città o regione in cui mi trovassi.
Nell’AIA si fanno tante conoscenze da cui nascono le amicizie.
Si tende sempre a pensare l’arbitro da solo, in realtà l’arbitro fa parte di un’Associazione nella quale si sta insieme.
Devo molto all’AIA come crescita sociale, ho conosciuto persone, ho visto tanti ragazzi.
Senti che essere un arbitro ti abbia dato qualcosa in più nella vita quotidiana?
Quando ho iniziato a fare l’osservatore ero giovanissimo, avevo 27 anni, e spesso mi capitava di essere più giovane o coetaneo dell’arbitro che andavo a visionare. La cosa all’inizio mi dava un po’ di difficoltà, ma è stato un percorso di crescita personale.
All’interno dell’Associazione hai ricoperto diversi ruoli: Vice Presidente di Sezione, Segretario CRA, OT in Sezione, tanta voglia di portare la tua conoscenza ai più giovani. Da dove arrivano questa passione e questa energia?
Per me che ho una certa età, stare in mezzo ai giovani è fonte di vita.
Devi essere sempre sveglio e fresco, è uno stimolo spaventoso. Mi ritengo giovane perché sto coi giovani e mi mancherà tanto quando non potrò più frequentare l’Associazione.
Vivere con i giovani mi mette in discussione, ma mi permette di essere sempre acceso.
Ritengo sia il merito di frequentare un’Associazione fatta prevalentemente di ragazzi, perché rispetto alle altre associazioni, l’AIA deve essere composta da giovani.
Non ho mai pensato di dare dimissioni dopo il mio percorso in nazionale. Ho smesso nel 2007 a 52 anni.
Non ho mai usato i ragazzi per raggiungere traguardi personali, non ho mai fatto pesare a nessuno dove sono arrivato come osservatore. Mi piace fare l’osservatore per aiutare i ragazzi a crescere. Arbitrare una partita prestigiosa, ottenere il passaggio di categoria… fino ad arrivare alla finale di Coppa del Mondo.
Com’è la CAN?
La CAN di oggi non è la stessa in cui ero presente io, il VAR ha raffreddato le tensioni della partita, è stata una svolta epocale per le partite che hanno milioni di spettatori. Il VAR ha tolto tante responsabilità ed errori all’AE.
Era una CAN passionale in cui non c’era posto per l’errore, i dirigenti delle squadre non vogliono ammettere la fallibilità dell’essere umano per nascondere i loro errori.
Cosa può insegnare un osservatore ad un arbitro professionista? Servono ancora gli OA o potrebbero gestire tutto i soli OT?
Sicuramente con l’avvento del VAR e gli orari delle gare condizionati delle televisioni il ruolo dell’osservatore ha perso una percentuale d’importanza.
L’osservatore allo stadio riesce a cogliere i particolari che dalla TV non si possono vedere.
Nel valutare l’episodio il video è un ottimo strumento, ma secondo me non si può valutare un arbitro per un episodio di 5-7 secondi su 95 minuti.
Il VAR e la TV hanno tolto una buona parte del ruolo dell’osservatore.
Non voglio dire che sia negativo, è l’evoluzione dell’analisi della crescita dell’arbitro.
L’arbitro più forte che hai incontrato?
Nei miei 8 anni alla CAN ho visionato tanti arbitri forti: Messina (ex OT CAN A), Orsato (miglior arbitro al mondo 2020), Rosetti (designatore UEFA), Rizzoli (finale Coppa del Mondo 2014), Rocchi (OT CAN), ma di fenomeni ne ho visto uno solo, Pierluigi Collina!
Collina nello spogliatoio era molto umile, al limite dell’imbarazzante. Quando si parlava degli episodi mi rifaceva la moviola, come se avesse davanti lo schermo. Aveva una grande memoria della partita, al punto che continuava lui la descrizione dell’evento.
A proposito di Rizzoli, a pagina 116 del suo libro “Che gusto c’è a fare l’arbitro”, Nicola racconta una tua visionatura.
In ogni visionatura ho cercato sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto.
Come racconta lo stesso Rizzoli nel suo libro, la partita non fu un successo.
Io però non mi sono mai soffermato sull’episodio. L’episodio non è un elemento importante nella valutazione della prestazione. A me interessa la totalità dei 90 minuti di un arbitro.
L’episodio può essere occasionale, può dire tutto o nulla di una prestazione.
Nel caso di Rizzoli, non mi sono fatto influenzare da due episodi negativi.
Dopo quella partita, l’arbitro ha capito i suo errori, ha lavorato duramente per migliorarsi ed è arrivato ad essere designato per la finale di Coppa del Mondo! In quella finale dei mondiali c’è un milionesimo di Racchi Gianluca in Ancona-Pistoiese.
Un aneddoto che vuoi raccontare?
Era uno dei miei primi anni di CAN, ero sceso nello spogliatoio e vedevo arbitri e calciatori darsi del tu. Sembrava un circo in cui i domatori conoscevano i leoni. Poi in campo diventavano i contestatori dell’arbitro. Finita la partita ritornava tutto in un ambente surreale, terminavano le contestazioni.
Al termine di una partita dissi all’arbitro di non sopportare le proteste. C’era un calciatore che ad ogni fallo lo contestava alzando le mani al cielo e l’arbitro se ne andava come se nulla fosse. Lui gesticolava come se stesse protestando, ma in realtà come l’arbitro si avvicinava gli faceva i complimenti. Agli occhi dei tifosi però, appariva come una contestazione. Si teatralizzava a livello scenografico.
Un consiglio per i nostri arbitri?
Un bravo osservatore deve guardare oltre al semplice fischio dell’arbitro. Deve vedere se c’è personalità, voglia di fare bene. Tutti sbagliamo, l’importante è non fermarsi davanti all’errore.
Anzi, dagli errori si trae giovamento, dopo un errore si fa di tutto per non ripeterlo.
L’arbitro assume migliaia di decisioni nell’arco di una partita e gli errori che commette sono un bagaglio di esperienza per la prossima gara.
Inoltre credo nel lavoro. I tanti campioni che ho visionato in Serie A sono arrivati perché hanno lavorato sodo.
Riprendendo l’esempio di Collina, lui i giorni antecedenti alla gara si preparava analizzando le squadre, i calciatori, le panchine. In campo riusciva così ad avere il controllo su tutto quello che accadeva all’interno del terreno di gioco, anche alle sue spalle.
Perché un ragazzo dovrebbe iniziare il corso arbitri?
Ho visto tanti ragazzi, pure mio figlio ha scelto di essere un arbitro e posso dire che l’arbitraggio, se lo personificassimo, sarebbe un grandissimo formatore. Ti aiuta a crescere come persona, ti aiuta a trovare l’equilibrio nelle cose, ti instaura un senso di giustizia e ti insegna a sopportare anche alcune ingiustizie che possono capitare nell’arco della vita.
Un atleta con l’arbitraggio diventa Uomo.
Matteo Varagona